Henri Pelissier e il Tour de France tra sigarette, vino e anfetamine

La storia di Henri Pelissier e del Tour de France 1923 dove nicotina, vino e droghe erano largamente utilizzate dai corridori, convinti di trarne benefici.

Oggi il ciclismo è uno sport basato su scienza, nutrizione e allenamenti studiati nei minimi dettagli. Ma nei primi decenni del Tour de France, le condizioni erano completamente diverse. I ciclisti affrontavano tappe massacranti senza supporto medico adeguato, con biciclette pesanti e strade dissestate. Per sopravvivere a queste fatiche, adottavano metodi oggi impensabili: fumavano sigarette, bevevano alcol in gara e assumevano sostanze stimolanti.
Tra i protagonisti di questa folle epoca troviamo Henri Pelissier, vincitore del Tour de France 1923, e altri campioni che credevano fermamente che nicotina, vino e droghe migliorassero le loro prestazioni. In questo articolo esploreremo le abitudini più assurde di quei tempi e come il ciclismo si sia trasformato nel corso degli anni.

Il mito della sigaretta per “dilatare i polmoni”

Negli anni ‘20 e ‘30, molti ciclisti erano convinti che fumare sigarette aiutasse a migliorare la respirazione. Secondo la mentalità dell’epoca, la nicotina avrebbe avuto un effetto broncodilatatore, facilitando l’ossigenazione dei muscoli. Per questo motivo, non era raro vedere atleti accendersi una sigaretta prima di una salita o nei momenti di pausa tra le tappe.
Tra i più celebri sostenitori di questa pratica c’era proprio Henri Pelissier, il carismatico vincitore del Tour de France 1923. Pélissier, noto per il suo temperamento ribelle, fumava spesso prima e dopo le tappe, convinto che lo aiutasse a rilassarsi e a rendere meglio. Le foto d’epoca mostrano ciclisti con sigarette in bocca mentre pedalano, una scena oggi impensabile.
Solo negli anni ‘40 e ‘50 si iniziò a capire che il fumo danneggiava seriamente la performance sportiva, ma la transizione fu lenta. Addirittura, fino agli anni ‘60, alcuni atleti continuavano a fumare, convinti che in piccole dosi potesse comunque avere effetti positivi.

Vino, birra e alcol al posto dell’acqua

Oggi i ciclisti si idratano con bevande studiate nei laboratori per massimizzare la resistenza e il recupero. Ma agli inizi del Tour de France, l’idea che l’acqua fosse benefica per gli atleti non era così diffusa. Molti credevano che bere troppa acqua facesse male e preferivano assumere liquidi diversi, come vino e birra.
Nel 1924, i fratelli Pelissier (Henri e Francis), insieme al loro compagno di squadra Maurice Ville, rivelarono in un’intervista a un giornalista francese che durante le tappe consumavano vino rosso e birra per affrontare la fatica. Secondo loro, l’alcol alleviava il dolore e forniva un’energia immediata, rendendo le tappe più sopportabili.
Non erano i soli a pensarla così. Alcuni corridori si fermavano nei bistrot lungo il percorso per bere qualche bicchiere di vino prima di riprendere la corsa. Altri trasportavano bottiglie legate al telaio della bicicletta, considerandole una parte essenziale della loro strategia alimentare.
Questa abitudine continuò per decenni, fino a quando la scienza dello sport dimostrò che l’alcol compromette la resistenza e il recupero muscolare. Tuttavia, ancora negli anni ‘50, era comune vedere ciclisti bere un bicchiere di vino ai rifornimenti, come se fosse un integratore naturale.

henri pelissier tour 1923 ciclismo

L’uso di stimolanti: stricnina, anfetamine e mix pericolosi

Se oggi il doping è considerato uno scandalo, nei primi decenni del ciclismo era quasi la norma. Non c’erano controlli antidoping e l’uso di sostanze stimolanti era accettato come parte della preparazione atletica.
Molti ciclisti assumevano stricnina, un veleno per topi in dosi molto basse, convinti che migliorasse la resistenza muscolare. Altri usavano caffeina ad alte concentrazioni, mescolata con zucchero o miele per aumentare l’energia.
Negli anni ‘40 e ‘50, con l’avvento delle anfetamine, la situazione peggiorò. Gli atleti iniziarono ad abusarne per restare vigili e mantenere alte le prestazioni nelle tappe più lunghe. Il grande Fausto Coppi, leggenda del ciclismo, quando gli chiesero se facesse uso di stimolanti, rispose candidamente: L’uso di queste sostanze era così diffuso che nel Tour de France del 1955 un giornalista chiese a un ciclista anonimo cosa portasse nella sua borsa. La risposta fu: “Tutta la farmacia!”

Il punto di svolta: la tragica morte di Tom Simpson

L’uso di droghe e stimolanti nel ciclismo proseguì senza controllo fino al 1967, quando avvenne uno degli eventi più tragici della storia del Tour de France.
Il britannico Tom Simpson, ciclista di talento e grande speranza del ciclismo mondiale, morì per un arresto cardiaco durante la scalata del Mont Ventoux. Le analisi post-mortem rivelarono nel suo organismo un mix letale di anfetamine e alcol, che aveva portato il suo cuore a collassare sotto lo sforzo.
La sua morte scioccò il mondo dello sport e segnò un punto di svolta: da quel momento, il Tour de France e le altre competizioni ciclistiche iniziarono a introdurre i primi controlli antidoping.

Un ciclismo eroico, ma folle

Guardando indietro, il ciclismo dei primi decenni era una combinazione di eroismo, incoscienza e pura follia. Correre per migliaia di chilometri su strade dissestate, senza supporto tecnico e con metodi discutibili per affrontare la fatica, rende quei ciclisti pionieri di uno sport che oggi è radicalmente cambiato.
Se da un lato possiamo sorridere all’idea di un ciclista che fuma una sigaretta prima di una salita, pensando che gli atleti che fumano siano rari, dall’altro è impressionante pensare a quanto il ciclismo fosse una sfida estrema, dove ogni pedalata era una lotta contro il proprio corpo.
Oggi il Tour de France è completamente diverso, regolato da scienza e tecnologia, ma il fascino di quell’epoca selvaggia resta vivo nelle storie incredibili che ci ha lasciato.

Henri Pelissier Tour 1923- VIDEO

Nel video che segue, ecco una ricostruzione della prima vittoria di un francese al Tour de France, con Henri Pelissier nel 1923.

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