Proviamo davvero tanta emozione, tristezza e ovviamente commozione mentre realizzamo che, a breve, non vedremo più giocare Pellissier. Perchè Sergione non è un semplice calciatore, tantomeno un qualsiasi atleta caprino. Egli è una stella polare, il punto di orientamento di quegli aspiranti che vogliono mettere in campo per i tifosi qualcosa di più di una semplice partita di calcio. E’ il “nord” di chi vuol regalar loro un sogno.
D’altronde non è certamente un caso che il suo cognome, Pellissier, nelle sue terre della Valle d’Aosta significhi per l’appunto “pellicciaio”. Sergio è un tessitore di sogni quindi, uno che con il pallone intreccia meraviglia, agonismo e geometrie inspiegabili, anche ai più dotti esperti del pallone.
Le origini del Mito
Il nostro pellicciaio nasce ad Aosta, patria di giacche di lana caprina (ma tu guarda…) di altissima qualità. Capi pregiati che fanno invidia anche al grande Giorgio Armani, che hanno avuto grandi testimonial come il Nonno di Heidi ed ovviamente il dolce, dolcissimo Remì.
Tuttavia, il piccolo Sergio per quanto adori, come tutti i valdostani, la soffice lana degli ovini, è attratto dai campetti di calcio, che siano quelli di parrocchia o di piccoli centri sportivi. È attratto dalla palla che scivola nell’erba, dagli spintoni, i corpo a corpo, i tackle e i calorosi cori dei tifosi. Pellissier ha quindi una doppia natura: da un lato il pellicciaio che vuole creare ciò che ben conosce, dall’altro il calciatore che vuole ambire a mete agonistiche inesplorate. Come conciliare queste due parti del suo essere così distanti?
I primi passi del campione
Il nostro Sergio comincia il suo cammino nelle giovanili del Torino, e proprio giovanissimo esordisce in serie B contro la Salernitana. Passa poi qualche stagione a Varese in C1, dove realizza ben 53 gol. Inevitabile quindi che, all’alba del nuovo millennio, arriva la chiamata in serie A, la massima serie.
È l’anno 2000 quando un uomo, mentre sta portando in carrozzina due pandori gemelli appena sfornati, vede un ragazzo destreggiarsi dentro l’area di un campetto di calcio con un giubbotto di pelle. Quel ragazzo non è Fonzie di Happy Days, ma è il talentuoso pellicciaio del pallone. L’uomo coi pandori, invece, è il presidente del Chievo Verona e si chiama Luca Campedelli.
Ebbene, Campedelli vede Sergio e capisce subito che ha davanti la svolta storica per il suo club. Lo manda un anno in prestito alla SPAL e poi, nel 2002, dopo 17 reti è pronto al “salto”.
L’esordio in A, ma l’accento dove va?
Sergio Pellissier in serie A è come un meteorite, oggettivamente un giocatore dall’impatto devastante.
Tutto comincia dall’esordio nella massima serie, che vede il Chievo perdente contro il Brescia. Nel pre gara i telecronisti si interrogano: “Come dobbiamo chiamarlo?”, “Come si pronuncia ‘sto nome?”, “Ma l’accento dove va?”. Domande che hanno assillato chiunque racconta il calcio. A risolvere il quesito, che mai ha trovato risposta, hanno provato a rispondere i grandi opinionisti come Beppe Bergomi, Aldo Serena e Maurizio Pistocchi. Il mistero rimane, però, ancora irrisolto.
Pilastro in campo e grande amico fuori
In tutto questo c’è però una certezza: Sergio è magico per il Chievo. E’ un giocatore pilastro, come lui solo Eriberto Luciano ed il grande amico Sorrentino. Perché nella leggenda di Sergione c’è anche quell’amicizia storica con l’altra colonna clivense, appunto Sorrentino. Quando sono in campo li chiamano gli “Holly e Benji di Verona”. La loro amicizia è qualcosa di storico e bellissimo. Ma questa è un’altra storia, che un altro articolo dedicato dovrà, prima o poi, sviscerare…
Sergione “Bum Bum”
Pellissier diventa quindi un pezzo di storia del Chievo, con ben 112 reti all’attivo. Un cammino, il suo, che ha progressivamente permesso al ragazzo, via via divenuto uomo, di realizzare la sua massima aspirazione. Quella di unire il talento tessile a quello calcistico, diventando così uno dei maggiori esponenti del calcio caprino, “cucendo” sul suo calcio un marchio tutto suo.
Con l’arrivo poi dell’esperienza internazionale, in Champions League con la maglia del Chievo, Pellissier diventa un’icona vera e propria che attira in Italia altri giovani che diventeranno futuri atleti ispirandosi a lui.
La fine della corsa
Oggi Pellissier, però, ci deve lasciare. La sua leggenda arriva alla fine. E, proprio come avevamo iniziato, al pensiero proviamo emozione, tristezza e ovviamente commozione. Non sappiamo se ci sarà un altro Pellissier, un altro come lui o che possa, almeno un poco, somigliargli. Probabilmente nessuno, dopo di lui, riuscirà a coniare due inclinazioni naturali come la professione e la passione calcistica.
E allora diciamo semplicemente “Grazie!” a Sergione “Pellicciaio” Pellissier. Con l’accento sulla ultima “e”.